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Dimmi con chi vai, e ti dirò chi sei.


“Dimmi con chi vai, e ti dirò chi sei.” Dicevano una volta. E quelli che lo dicevano mica avevano letto Freud o i manuali di neuroscienze. Eppure ci avevano visto giusto: la compagnia che frequentiamo modella i nostri pensieri, il nostro modo di sentire, perfino il nostro carattere.


Il cervello è come una spugna. Una spugna simpatica, morbida, sensibile. Assorbe tutto quello che gli sta vicino: emozioni, abitudini, linguaggi. Non solo quello che sente, ma anche quello che “respira”. Così, se passiamo le giornate accanto a chi si lamenta sempre, finisce che ci troviamo a criticare pure il meteo, il caffè e magari pure il gatto.


Siamo specchi più di quanto pensiamo. Non per debolezza, ma per natura. Il cervello è pigro in modo elegante: copia. Copia quello che vede spesso, che ascolta di continuo, che ha intorno ogni giorno. Ecco perché le relazioni non sono solo una questione affettiva. Sono un investimento strategico. A lungo termine.


Ora, non è che stiamo facendo l’elogio della perfezione. Le persone perfette non esistono. E se esistessero, sarebbero insopportabili a cena. Ma esiste una bella differenza tra chi ti allarga la visuale e chi, piano piano, te la restringe.


Ci sono persone che ti fanno stare più dritto solo con la loro presenza. Non ti dicono cosa fare. Ma il loro modo di pensare, di reagire alle cose, i loro standard silenziosi... ti fanno venir voglia di migliorarti. Ti sfidano, ma con gentilezza. E questo è raro.


Poi ci sono quelli che ti offrono un bel bagno caldo di conforto, ma a un prezzo: devi rimpicciolire un po’ la tua visione. Sono quelli che si irrigidiscono se cresci, che sorridono quando inciampi (così si sentono meno soli), che chiamano “realismo” la loro paura e “maturità” la loro rinuncia. Li conosciamo tutti. Non sono cattivi. Ma ti svuotano. Come un rubinetto che gocciola tutta la notte. Ti svegli stanco e non sai perché.


Scegliere relazioni di qualità non è snobismo. È ecologia emotiva. Chi porta luce? Chi porta nebbia? Chi ti lascia più limpido dopo un incontro? E chi, invece, ti lascia annebbiato per ore?


Cambiare cerchia non significa buttare via nessuno. È solo una risistemata all’energia. Nessun discorso teatrale, nessuna cena di addio. Solo un po’ meno disponibilità al rumore e un po’ più apertura al senso. Un telefono più silenzioso, forse. E una curiosità più viva.


Significa cercare persone migliori di noi. Sì, migliori. Più gentili, più lucide, più stabili, più serene. Non per copiarle, ma per imparare. Persone che ti mettono un filo a disagio nel modo giusto. Non perché ti fanno sentire inferiore, ma perché ti fanno venir voglia di raddrizzare la schiena. Ti invitano a salire. Senza dire una parola.


A volte arrivano sotto forma di mentori. Altre volte sono colleghi, vicini di casa, o quell’amico che riesce a farti la domanda giusta nel momento sbagliato. Non devono essere perfetti. Devono solo aiutarti a pensare un po’ meglio, lamentarti un po’ meno, esserci un po’ di più.


E poi ci sono le comunità. Quelle contano eccome. Che siano online o dal vivo, strutturate o informali, i gruppi con cui ci relazioniamo ci insegnano cos’è la normalità. Se stai in un ambiente dove chiarezza, disciplina e gentilezza sono la base, ti adegui senza accorgertene. Non per sforzo, ma per gravità. Gli standard si alzano in buona compagnia. E si abbassano alla stessa velocità in quella sbagliata.


Certo, serve tempo. E un pizzico di coraggio. Perché certe relazioni vecchie più che scelte sembrano abitudini emotive. Ma ogni tanto vale la pena chiedersi: questa persona mi solleva o mi trattiene?


E se la domanda punge un po’, meglio così. Vuol dire che è viva.

E quando una domanda è viva, è ora di ascoltarla.


E se cominciassimo a scegliere le persone intorno a noi con la stessa cura con cui scegliamo le parole, i progetti, i tempi? Non per giudicare, ma per prenderci sul serio.

Esplora come il coaching può aiutarti in questo percorso ed eventualmente accedi a un ciclo pro bono con me. Nicola Arnese offre queste sessioni nei suoi momenti liberi per non creare conflitti con altri impegni professionali. Potrebbe essere necessaria una certa flessibilità nella pianificazione.

 
 
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