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Il bello di suonare insieme

Stavo in macchina. La radio accesa, il traffico calmo, di quelli rari, e un direttore d’orchestra parlava con una voce che sembrava già una musica. Una voce lenta, piena di pause giuste, come se tra una parola e l’altra ci infilasse delle note.


Diceva cose semplici, ma dette come le direbbe un vecchio amico al bar, con una birra davanti e gli occhi pieni di storie.


Parlava degli strumenti. Ma non come un tecnico, no. Ne parlava come di persone. Il clarinetto? “Un tipo discreto, che ti parla a bassa voce, ma se ascolti bene, ti dice tutto.” Il violoncello? “Quello malinconico, che se ne sta da parte ma quando entra ti fa venire la pelle d’oca.” Le percussioni? “Sono il cuore. Battono. Se non ci stanno loro, la musica non cammina.”


Poi si ferma. Fa una pausa lunga, bella, quasi teatrale e dice:

“Il mio preferito, però, resta il pianoforte.”


E lì comincia a raccontare. Dice che col pianoforte puoi fare tutto. Non ti serve nessuno. Con due mani e 88 tasti puoi suonare una sinfonia intera. Melodia, ritmo, armonia: ce l’hai tutto lì. E lo diceva con un tono come quando si parla di una vecchia casa di famiglia: completa, familiare, piena di possibilità.


Ma poi, con quella voce bassa che usano quelli che stanno per dire una cosa vera, aggiunge:

“Il rischio, però, è che a forza di suonare da solo… finisci col seguire solo il tuo ritmo. E senza accorgertene… suoni solo per te stesso.”


Ah. Mo’ dimmi se non ti viene da stare zitto un attimo, dopo una frase così.


Perché in fondo, quante volte ci succede? Nel lavoro, nella vita. Diventiamo bravi, autonomi, capaci. E va bene così. Ma col tempo il nostro ritmo si chiude. Non si adatta più. Non ascolta più. Non cambia più.


Finché un giorno… entra un violino. Timido, ma con una voce diversa. Poi una tromba che non aspetta. Una percussione che ti dice “aspetta un attimo”. E lì, senti quello che ti mancava. Un respiro troppo corto. Una pausa saltata. Una nota mai pensata.


Non perché hai sbagliato. Ma perché eri solo. Il tuo assolo non era sbagliato. Era solo incompleto.


È quando arrivano gli altri che succede la magia. Quando non sei più il centro, ma una voce tra le voci. Quando lasci spazio. Quando ti lasci sorprendere. E allora la musica cambia. Non sei più solo bravo. Sei vivo.


Per trovare la propria voce serve solitudine. Ma forse per trovare la musica, servono gli altri.


Ogni volta che lavoriamo con gli altri, viviamo in relazione o anche solo entriamo in una riunione, è come se ci accordassimo con strumenti diversi dal nostro. Più diventiamo bravi ad ascoltare, più ricca diventa la musica che possiamo creare insieme. Scopri come il coaching può aiutarti e valuta l’accesso a un ciclo pro bono con me. Nicola Arnese offre queste sessioni nel tempo libero, per non creare conflitti con altri impegni professionali. Potrebbe essere necessaria una certa flessibilità negli orari.

 
 
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