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Zia Rosa e il conto del pane

A Bari Vecchia tutti la chiamano Zia Rosa. Anche chi non è parente. Anche chi ha più anni di lei. Forse perché, da dietro quel bancone di marmo bianco, sembra che ti conosca da sempre.


Settantadue anni, capelli raccolti in uno chignon sempre uguale, mani forti e farina nelle pieghe delle dita. Rosa sforna pane da cinquant’anni, senza un giorno di ferie. Il forno è piccolo, un bugigattolo con l’insegna storta e l’odore buono che si sente da lontano.


Ma quello che rende Rosa diversa non è il pane. È un quaderno a righe, nascosto sotto la cassa. “È il mio conto aperto,” dice. “Per chi ha bisogno e non può pagare subito. O forse mai.”


Rosa non fa domande. Non chiede spiegazioni. Se qualcuno entra e dice “oggi non ce la faccio”, lei scrive nome e data sul quaderno. Poi consegna la pagnotta, uguale a quella di tutti gli altri.


“Il pane si dà. Punto. La fame non si giudica.” Zia Rosa ogni mattina, con farina e mani, ci insegna che la dignità non va misurata a peso. Va solo rispettata.


Ogni tanto qualcuno torna, dopo mesi, e restituisce qualcosa. A volte tutto. A volte la metà. A volte niente. Ma Zia Rosa non tiene il conto di quello.


“Il quaderno serve a loro. Per sentirsi meno a disagio. Ma io, dentro di me, ho già cancellato.”


Negli anni, il forno è diventato molto più di un posto dove comprare da mangiare. È un rifugio. Un confessionale. Un luogo dove nessuno resta solo troppo a lungo.

Ogni mattina, alle sei, Rosa apre la saracinesca. Prima ancora che la città si svegli.C’è chi viene solo per parlare cinque minuti. Chi porta un caffè. Chi chiede consiglio.


“Una volta è entrato un ragazzo che stava per mollare tutto. Gli ho detto: mangia prima. Poi decidi.” È rimasto a parlare per un’ora. Ora fa il panettiere, da un’altra parte della città.


“Il forno è come la vita: serve tempo, calore, e pazienza.”


Lo dice impastando. Senza alzare la voce. Senza cercare attenzione. Rosa non vuole premi, né interviste. Le dà fastidio anche che qualcuno la chiami "angelo".

“Non sono un angelo. Sono una panettiera che ha visto la fame. E non vuole che nessuno la senta più.”


Non ha mai messo un cartello fuori. Non ha mai chiesto donazioni. Eppure, il suo gesto si è diffuso. Ora anche altri negozi del quartiere lasciano “il caffè sospeso”, “la verdura in più”, “la pizza pagata”.


Tutto è partito da un quaderno a righe.


Quando chiude, Rosa resta qualche minuto dentro. Spegne il banco, ma lascia il forno acceso ancora un po’. Perché “il calore tiene compagnia anche alle pareti”.


Poi prende il quaderno, lo guarda, e lo ripone sotto la cassa. A volte sorride. A volte sospira. Ma non cancella mai nulla.


Secondo l’Istat, in Italia ci sono oltre 5,6 milioni di persone in povertà assoluta. Eppure, il pane resta uno degli alimenti più sprecati. Ogni anno, ne buttiamo via oltre 13.000 tonnellate.

La storia di Rosa non parla di beneficenza, ma di dignità silenziosa. E ci ricorda che i gesti più piccoli possono cambiare la trama invisibile delle nostre comunità. Quali sono i “conti aperti” che potresti tenere nella tua vita?

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