La differenza tra il cheerleader e il campione.
- Nicola Arnese
- 24 mag
- Tempo di lettura: 2 min

C’è un’abitudine nei luoghi di lavoro che somiglia al caffè al bar: ti arriva prima ancora che tu lo chieda. “Ottimo lavoro!”, “Grande!”, “Hai spaccato!”. Gentilezza in automatico, zucchero per l’anima. Ma c’è una differenza tra una parola gentile e una che lascia il segno. Il punto non è tanto cosa dici, ma perché lo dici. E soprattutto, se chi ti ascolta si sente davvero visto.
Un conto è farti un applauso, un altro è riconoscerti. Il primo fa rumore. Il secondo fa bene.
Nel lavoro siamo pieni di tifo. “Bravo!” dopo una delivery in tempo. “Complimenti!” a fine riunione. Ma spesso, dietro quei complimenti, c’è poco più di una pacca sulla spalla. Nessun riferimento al percorso, alla fatica, al significato di quel gesto. È un incoraggiamento gentile, certo, ma anche distratto. Come i messaggi di auguri mandati in serie, tutti uguali, tutti corretti. Ma senza cuore.
Eppure, è proprio lì che si gioca la differenza tra il cheerleader e il campione. Il primo incita. Il secondo sostiene. E per sostenere davvero qualcuno bisogna conoscerlo. Bisogna averci camminato insieme almeno un po’. Altrimenti si rischia di applaudire il risultato, senza vedere la persona.
Il feedback, quando è fatto bene, è uno specchio pulito. Non serve a dire “sei stato bravo”. Serve a dire “questo risultato parla di te”. E questo tipo di riconoscimento non si improvvisa. Richiede attenzione, tempo, coraggio. Sì, anche coraggio. Perché quando scegli di dire a qualcuno chi vedi, ti metti in gioco pure tu. Ti espandi. Ti esponi. E magari, nel dirlo a lui, qualcosa risuona anche in te.
Essere “campioni” per gli altri non significa gonfiare l’ego, ma restituire un’immagine fedele di chi sono, soprattutto quando l’hanno dimenticata. Nei momenti in cui si sentono stanchi, sfocati, pieni di dubbi. È lì che un buon feedback fa la differenza. Non dice “bravo lo stesso”. Dice: “Questa cosa non ti somiglia. Ti ho visto tenere il timone in mare mosso. So che ci sei anche adesso.”
E quando invece le cose vanno bene, il feedback può essere ancora più prezioso. Non si limita a celebrare il traguardo, ma lo collega alla coerenza, all’identità, ai valori. Dice: “Non mi colpisce solo il risultato, ma il modo in cui ci sei arrivato. Questo ti assomiglia.”
Tutto questo può sembrare idealista. Ma non lo è. È pratico. È semplice. E ha un effetto immediato: chi riceve un feedback così non si sente solo valutato. Si sente riconosciuto. E quando ti senti riconosciuto, tutto cambia. Lavori meglio. Comunichi meglio. Ti fidi di più. Di te e degli altri.
Se ripensiamo all’ultimo feedback che abbiamo dato (o ricevuto), era uno specchio o un manifesto? Ci sono momenti in cui basta davvero poco per fare molta differenza. E se vuoi allenarti a usare il feedback come strumento di fiducia e crescita reciproca, possiamo farlo insieme.
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